Monica D’Urso ha partecipato alla TDS 2021. Durante questa edizione un atleta è caduto e ha perso la vita costringendo gli organizzatori a interrompere la gara. Monica, come tutti i partecipanti che non avevano ancora passato il punto dell’incidente, ha dovuto tornare indietro. Per saperne di più, leggete qui.

Monica ci racconta un po’ di sé, delle sue gare e di quella esperienza. Su di lei trovate anche una Scheda&Bio.

Parlaci un po’ di te

Ho 42 anni, sono cresciuta e vivo tutt’ora a Genova. Nonostante adori questa città che mi permette di godere dell’infinità del mare e delle montagne alle sue spalle fino all’alta via dei monti liguri, il mio progetto di vita è la montagna, luogo che ormai da anni porta in me pace e serenità.

Ho trascorso una vita piuttosto movimentata alla ricerca della mia strada, ma da quando ho iniziato il mio percorso lavorativo nel campo delle cure palliative mi sono appassionata e la mia vita ha iniziato a prendere forma. Il lavoro che svolgo tutt’oggi con grande passione mi ha cambiata molto, anzi direi forse trasformata e trasformato il mio pensiero riuscendo a vivere davvero appieno ogni momento. Lo stretto contatto con la natura che ho ritrovato nel Trail e la trasformazione che ho avuto grazie al mio lavoro mi porta ogni volta che corro, sia in allenamento o gara, a commuovermi spesso e provare sensazioni meravigliose con la consapevolezza e la gratitudine per ciò che sto vivendo in quel determinato momento.

Monica corre

Foto di Monica D'Urso


Ho due splendide “bambine” di 9 e 12 anni e un marito fantastico con cui condivido la passione per lo sport e per il Trail, cosa che ci ha permesso di comprenderci e aiutarci anche nella faticosa gestione delle nostre figlie e del vivere quotidiano. Dal 2018 abbiamo un cane che ci riempie la vita, un bellissimo galgo di nome Eddy, che ci era stato presentato come taglia media ma in realtà è un bel fuori taglia. Non sono convinta che possa essere un compagno di lunghe avventure perché nel tempo ho imparato a conoscerlo: gli piace molto dormire e stare ore ed ore nella sua calda cuccia; impazzisce quando può fare degli sprint a 60 km all’ora, ma brevi. Per questo motivo lo porto poco a correre con me se devo fare tanti chilometri, ma non manca sicuramente l’occasione di fare tutti insieme lunghe passeggiate.

Monica Durso in cima

Foto di Monica D'Urso

Cosa ti ha portata verso l’ultramaratona?

Non avrei mai pensato di fare con scioltezza 15,20,30 km e mi sembrava quasi impossibile pensare di allungare la distanza. Ma in realtà più aumenti più ti sembra di poter fare sempre qualcosa in più. Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui mi hanno sorteggiato per la Marathon du Mont blanc di 90km, per me la prima distanza significativa. Ho da subito provato paura ed insicurezza, emozioni che mi hanno accompagnata fino a quando non ho tagliato quell’ambito traguardo. La prima ultra non si scorda mai davvero, è stata davvero un’esperienza pazzesca. Ricordo che ogni volta che arrivavo in cima ad una salita mi partiva una crisi che poi passava piano piano e ripartiva di nuovo verso la fine della salita successiva.

Quali sono i momenti di quella gara che ricorderai per sempre?

Tre sono stati i momenti che non scorderò mai: il primo è stato l’arrivo alla Brevent, in tempo per assistere ad un’alba meravigliosa che non si può descrivere, su un terreno completamente innevato su cui dovevi per forza imparare a correrci sopra se non volevi fartela con il sedere per terra; il secondo è stato l’attesa e il momento in cui sono arrivata a Le Tour (60km) dove mi aspettava la mia super family. Il mio mantra purtroppo negativo prima di arrivare era “non ce la faccio a farne altri 30, non vedo l’ora di vederli” (sui mantra ci ho lavorato nel tempo). Arrivata a Le Tour, Luciano è stato molto persuasivo nel farmi continuare. La terza è stata la commozione all’arrivo al ghiacciaio Montenvers perché ormai ero all’ottantesimo e ce l’avevo fatta! E poi perché proprio in quel posto avevo ricordi con la mia famiglia.

Quali, tra le tante gare fatte, porti nel cuore?

Più che una gara è un evento non competitivo organizzato a scopo benefico che ripeterò quest’anno perché mi ha toccato dentro: la Carnica Ultra Trail (177 K) sulle dolomiti carniche: circa 200 km in 4 giorni con 11000m D+ a tappe itineranti in un palcoscenico indescrivibile. Qui ho scoperto un nuovo modo di praticare il Trail e di vivere la montagna, guardando l’immenso che mi circonda al di fuori della solita competizione fatta spesso a testa bassa, in totale autonomia; un modo che mi ha davvero appassionata, un vero e proprio viaggio. Mi fa impazzire il fatto di doversi organizzare, preparare, imparare a gestirsi (cosa difficilissima), ogni volta alla scoperta di qualcosa di nuovo in me per poter migliorare il viaggio successivo.

Raccontaci della tua TDS

La mia esperienza alla TDS è stata particolare, una gara che aspettavo da tre anni (non sono molto fortunata nei sorteggi), preparata con moltissimo impegno, ponendomi degli obiettivi che ero quasi certa di raggiungere. Dico quasi perché ogni ultra nasconde in sé imprevisti, difficoltà che non riusciamo ad immaginare. Come quello che è successo quest’anno in cui circa a metà gara, il decesso di un atleta ha comportato l’annullamento della gara stessa.

Monica corre

Foto di Monica D'Urso


Imprevedibile non è stata la morte di questo ragazzo, perché purtroppo sappiamo i pericoli che ci possono essere quando affrontiamo o pratichiamo cose di questo tipo in ambiente montano, a volte queste disgrazie succedono anche mentre stai camminando su un sentiero, magari esposto. L’imprevedibile è stato trovarmi in mezzo a due punti in cui non si riusciva ad andare né avanti né indietro, in fila indiana in un single track, in cima ad un colle a 2000m ferma tutta la notte senza sapere perché. Nella mia testa c’era solo la paura di non rivedere la mia famiglia e di andare in ipotermia. Fortunatamente le temperature non erano eccessivamente basse (forse 2/3 gradi), ma con delle condizioni climatiche meno favorevoli credo che si sarebbe davvero trasformato in una strage. Penso sia stata l’esperienza peggiore della mia vita in cui ho davvero pensato di non tornare più a casa.

Purtroppo non è stata la mia prima esperienza di questo tipo. Durante l’AvaTrail, la mia prima 40 km nel 2013, la persona con cui stavo condividendo da due ore la gara chiacchierando era dietro di me; ha messo male un piede ed è precipitato in un sentiero esposto, perdendo la vita. Il rumore di quando è caduto e l’urlo che ha lanciato sono ancora vivi dentro di me. All’epoca mia figlia piccola aveva appena un anno. Vi lascio immaginare i pensieri. Ho smesso per un po’ di correre e gareggiare.

Come ti definisci?

Mi definisco sicuramente una persona determinata che si impegna al massimo per raggiungere i propri obiettivi anche se non sempre raggiungibili.

Non è un’ultramaratoneta. Le sue gambe la portano al massimo a completare una maratona. Non crede di potersi spingere più in là di questa distanza eppure, o forse proprio per questo, è da sempre affascinata da chi riesce a spingersi oltre i propri limiti, fisici e mentali. E' appassionata di ultratrail americane.