“I did it for me and I’m super happy that I achieved what I set out to do after the three years of trying … But I’m glad that I kind of did it for women worldwide as well – not just runners – but any woman that wants to take on a challenge and maybe doesn’t have the confidence. The idea that I might have inspired them to believe in themselves… that’s huge, especially all the young girls – you know how hard it is to keep young girls in sports.” (Jasmin Paris, intervista alla BBC)

22.03.2024 – Frozen Head State Park, Tennessee, USA

Quando Jasmin Paris ha toccato il famoso cancello giallo, ripiegandosi prima su di lui e poi su stessa crollando a terra, era probabilmente l’unica a pensare che ci sarebbe riuscita, che sarebbe riuscita a terminare la gara entro le 60 ore previste e a diventare la prima donna a completare la Barkley Marathons. Le persone raccolte attorno all’iconico arrivo e le migliaia collegate su Twitter/X a seguire la gara, avevano già decretato il fallimento del suo terzo tentativo di provare a Laz che le donne potevano portare a termine la gara-avventura da lui creata. Tutti avevano già fatto i conti: l’ultimo avvistamento era avvenuto alla torre di Rat’s Jaw e si sapeva che da lì il vincitore di questa edizione aveva impiegato 4 ore per arrivare al campo base completando il quinto giro. Da quello che diceva Dunne su Twitter, a lei erano rimaste tre ore e mezza. Come avrebbe mai potuto finire in tempo? Invece, la ricercatrice-veterinaria britannica ce l’ha fatta, con soli 99” di vantaggio sul tempo massimo. Ha zittito tutti quelli che “dati alla mano” e ha zittito Gary “Lazarus Lake” Chttps://www.donneultra.com/wp-admin/post-new.php#antrell (conosciuto come “Laz”), la mente contorta dietro la Barkley Marathons.

La gara dei misteri e delle beffe

Era il 1977 quando James Earl Ray, assassino di Martin Luther King jr, evase dalla prigione di Brushy Mountains costruita in una vallata vicino a Frozen Head. Dopo 60 ore, però, riuscì a percorrere solo 13km per via del terreno ostile e della fitta vegetazione, e venne ripreso. Lazarus Lake, ultrarunner e ottimo conoscitore del parco, aveva allora 22 anni e con la spavalderia della gioventù pensò che lui in 60 ore avrebbe percorso 100 miglia. E’ così nacque l’idea della Barkley Marathons. La prima edizione partì nel 1986 e le 100 miglia vennero così suddivise: 5 giri da 20 su un percorso con 20.000m di dislivello positivo totali (come scalare l’Everest due volte) in una vegetazione fitta e piena di sterpi, da completare, appunto, in massimo 60 ore.

Per riuscire nell’impresa bisogna essere forti fisicamente, ma soprattutto mentalmente; bisogna essere capaci di affrontare l’inclemenza meteorologica e i grandi sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte, gestire la carenza di sonno e avere buone capacità di orientamento.

Per anni la gara è rimasta poco conosciuta ai più: non c’era un sito su cui iscriversi, nessuna indicazione su come farlo, nessuna informazione sul percorso. Niente. Tutto top secret. Le informazioni correvano nel “sottobosco americano dell’ultratrail”. Oggi poco è cambiato. La gara è ancora, sotto certi aspetti, top secret ma sono molti i dettagli che ormai si conoscono e tanti sono gli appassionati. Tutto questo grazie a un documentario uscito nel 2014 su Netflix dal titolo: The Race that Eats its Young (ora non più disponbile), documetario che ha diviso gli appassionati di corsa e di ultrarunning: chi ignora la gara perché questa “non è corsa” e chi ne è quasi ossessionato, guarda documentari su documentari e ogni anno si ritrova su Twitter/X a seguire un uomo di oltre sessant’anni, Keith Dunne, appassionato di pesca e che, in occasione della gara, diventa l’unica persona autorizzata ad aggiornare il “mondo” su quello che succede alla Barkley.

Nessuno ha il permesso di comunicare pubblicamente né di aver ricevuto la lettera né le date della gara. Gli organizzatori vogliono evitare l’affollamento del parco, che è patrimonio nazionale. Nessun spettatore sa quando collegarsi a Twitter/X per seguire la gara, ma sa che dovrà iniziare a controllare l’account di Keith Dunne dall’inizio dell’ultima settimana di marzo.

Al campo base di Frozen Head, poco prima dell’inizio, i partecipanti ricevono una mappa da studiare nei dettagli; non è consentito l’uso del GPS e il percorso non è indicato né dalle balise, né da volontari lungo il percorso. Laz regala ad ognuno di loro un orologio che segna solo il tempo e che sarà l’unico attrezzo tecnologico consentito in gara. Per accertarsi che i partecipanti non barino o arrivino percorrendo la strada sbagliata, al posto dei tappetini che registrano il passaggio dell’atleta, i partecipanti devono, nell’ordine:

  • trovare, ad ogni giro, 10-14 libri nascosti lungo il percorso (il numero può variare ogni anno)
  • trovare il numero di pagina che corrisponde al numero del loro pettorale (che cambia ad ogni giro)
  • strappare le pagina e conservarle. Vanno tutte mostrate a Laz al completamento del giro perché questo venga convalidato.

Dopo i riti del caso, i partecipanti sanno che si partirà tra la mezzanotte e mezzogiorno del giorno successivo. All’interno di queste 12 ore Laz deciderà quando farli partire. Un’ora prima dell’inizio, deciso da lui e non comunicato ai partecipanti, Laz soffia in una conchiglia e, a quel punto, i partecipanti sanno di avere un’ora di tempo per vestirsi, mangiare, e prepararsi. Chiaramente non sarà uno sparo a indicare l’inizio vero e proprio, sarebbe banale, ma l’accensione di una sigaretta da parte del folle organizzatore. La direzione dei giri cinque giri cambia alternando senso orario e antiorario. Il primo atleta a partire per il quinto giro, ha diritto di scegliere la direzione preferita; gli altri alterneranno le direzioni.

In questa gara non si parla di vincitori, ma di finisher; dal 1986, meno di 20 persone sono riuscite a finire tutti e cinque i giri. Per la verità, la maggior parte dei partecipanti non supera nemmeno il secondo giro. In una gara organizzata con questo spirito non possono mancare le cosiddette beffe: se finisci tre giri, completi quella che Laz chiama “fun run”. Quando ti ritiri, c’è una persona dell’organizzazione che suona “Il silenzio”, la celebre melodia militare funebre. Quando qualcuno completa tutti e cinque i giri entro il tempo massimo, deve schiacciare un pulsante e una voce automatizzata dichiara “well, that was easy!”

La gara è stata spesso accusata di essere esclusiva dato che le procedure di iscrizione non sono chiare e sono, soprattutto, molto soggettive. Sono poche le donne a partecipare e pochissimi gli atleti razializzati. Di fatto, fino al 22 marzo 2024, tutti i finisher sono stati uomini (e bianchi). In un’intervista video del 2015 Laz, nel suo famoso atteggiamento provocatorio, dichiarò che nessuna donna avrebbe potuto mai finire la Barkley: “The race is too hard for women. They are simply not tough enough to do it, and I get to say that for as long as it goes that no one proves me wrong.” Pare invece che lui ci sperasse ed è proprio con questo obiettivo che ha invita a iscriversi donne che lui reputava capaci e che si sono imposte all’attenzione per le loro incredibili performance. Tra le altre aveva invitato anche Courtney Dauwalter, una delle ultrarunner più forte della storia che, nella sua carriera, ha vinto gare di 250 miglia lasciandosi alle spalle tutti i concorrenti. Dauwalter ha partecipato due volte, prendendosi carico delle aspettative di tutti. Se c’era qualcuno che poteva farcela era sicuramente lei. Dauwalter ha partecipato alla Barkley nel 2021 e 2022, ma, di fatto, non ha superato mai il primo giro.

Laz non ha mai fatto mistero del fatto che, per lui, un’altra possibile candidata era proprio Jasmin Paris.

La veterinaria del Fell Running

Nata nel 1983 a Manchester, Paris è cresciuta nel Peak District con una famiglia amante della natura con cui faceva delle grandi camminate. Cresciuta con tre fratelli che l’hanno sempre trattata da pari nella vita e nello sport, Paris ha sempre provato tutto e ha sempre dato il massimo. La corsa è entrata nella sua vita dopo la laurea, attorno al 2008, specializzandosi in Fell Running, disciplina che prevede percorsi collinari con continui saliscendi praticata nel nord dell’Inghilterra e in Scozia (dove si trasferisce nel 2010 per portare a termine il suo dottorato). Elena Adorni definisce così il Fell Running in un racconto sul sito di Destination Running:

“Il fell running non è una disciplina per deboli di spirito. Orientamento a parte, non sono richieste particolari capacità tecniche. Come dicono alcuni esperti del settore, servono solo gambe, testa e cuore. Io aggiungerei anche un grande amore per le pozzanghere e per il fango che ti si incrosta alle gambe per giorni. E anche per la salita, soprattutto sotto la pioggia e la grandine. L’assenza di un vero e proprio sentiero marcato, insieme ad un terreno roccioso unico al mondo, fanno sì che chi corra debba fare affidamento solo sulle proprie abilità e resistenze in autonomia, ancora di più rispetto ad una classica corsa su trail o strada. Una gara di fell può diventare un’avventura in montagna degna di essere chiamata tale” https://ducoaching.com/fell-running-gambe-testa-e-cuore/

Nel 2014 e 2015 Jasmin Paris si impone nei campionati Scozzesi; nel 2015 e 2018 vince i campionati Britannici di Fell Running. Il talento c’è così come l’ambizione e la voglia di vedere fino a dove potesse spingersi. Nel 2016 prova a completare uno dei percorsi di Fell Running più rappresentativi, Il Bob Graham Round: un circuito di 66 miglia su e giù quarantadue delle cime inglesi più alte. Paris finisce il percorso in 15 ore e 24 minuti battendo di oltre due ore e mezzo il record femminile che era di Nicky Spinks stabilito l’anno prima. Anche Spinks, esponente femminile importante del Fell Running, ha tentato la Barkley Marathons due volte, nel 2019 – anno in cui nessuno finisce la gara e lei si ritira a metà del secondo giro; stesso destino nel 2023. Nel 2019, Paris vince la Spine Race lasciando il secondo atleta, nonché primo uomo, cinque ore indietro. La Spine Race è durissima con i suoi 268 miglia sulla Pennine Way in Gran Bretagna, con un 10.700m di dislivello e spesso – come quell’anno – con delle condizioni meteo proibitive. Jasmin Paris stabilisce anche il record sul percorso pur essendosi dovuta fermare per allattare la sua bambina di 14 mesi.

È qui che il destino di Jasmin Paris la mette sulla strada, letteralmente, della Barkley Marathons. Dopo la vittoria alla Spine Race, le arriva in maniera indiretta l’invito di Laz a partecipare alla “gara che mangia i suoi giovani” e che ancora non ha ancora visto una donna finire. Ma è solo nel 2022 che prova a partecipare, mandando la lettera a Laz e ricevendo in cambio le famose condoglianze. Al suo primo tentativo, Paris completa la “fun run”, impresa che era riuscita solo a quattro altre donne prima di lei:

Suzi Thibeault: 1991 e 1994.

Nancy Hamilton: 1991 e 1993.

Sue Johnston: 2000 e 2001.

Beverley Anderson-Abbs: 2012 e 2013.

Dopo di loro, per dieci anni, più nessuna.

Jasmin Paris, perfezionista e ambiziosa, ha spesso dichiarato che dopo aver ascoltato “il silenzio” che decretava di fatto la sua sconfitta nel 2023, aveva in realtà pensato che l’impresa fosse fattibile, che poteva riuscirci. Si ripresenta così nel 2024. Questa volta ha le idee più chiare su cosa aspettarsi e si prepara di conseguenza. Introduce allenamenti di forza e di potenziamento, aumenta il chilometraggio e il dislivello e cerca di allenarsi in condizioni difficili. Continua a farlo la mattina presto – unico momento della giornata che le consente di allenarsi prima di andare a lavorare all’università come docente di veterinaria, oppure andare nella clinica dove lavora, senza togliere tempo anche alla sua famiglia. Una notte, ha raccontato in uno dei tanti podcast registrati dopo la sua storica impresa, è uscita di casa che stava diluviando. Era circa mezzanotte. Tutta vestita con abbigliamento tecnico e impermeabile, ha iniziato a salire su per una delle colline vicino casa con la consapevolezza che sarebbe ben presto arrivata la neve. Così è stato, anzi, è arrivata una vera e propria bufera. Ma lei ha proseguito il suo allenamento arrivando a fare su e giù la collina per ben 17 volte. Ha raccontato anche che per prepararsi, poco prima di Natale, la sua famiglia ha organizzato una mini-Barkley, con 5 giri, libri ecc. per ricreare l’atmosfera della famosa gara.

La vittoria che apre porte

Il 20 marzo 2024, nel campo di Frozen Head, i partecipanti cercavano di prepararsi al meglio per arrivare il più riposati possibile al suono della conchiglia. Nessuno sapeva quando sarebbe arrivato, ma di sicuro entro le 12 ore seguenti. Nessuno si aspettava un’altra piccola beffa, questa volta non pianificata: al suono molti atleti si sono alzati dalle loro brandine per prepararsi per poi scoprire che in realtà non era stata la conchiglia a suonare ma l’allarme di una macchina. Tutti riprovano a dormire.

Alle 5:17 del mattino (EST) si è acceso il lumino della sigaretta di Laz. Jasmin Paris è partita in testa al gruppo insieme ad atleti come Kelly (già finisher due volte) e il connazionale Hall con cui resterà anche durante il secondo giro (in senso antiorario). Questo è uno dei segreti per resistere più a lungo in questa gara: stare insieme, aiutarsi, spingersi, almeno finché si può.

Poi la notizia sui cui tutti speravano: Jasmin Paris è la prima donna nella storia della gara a non fermarsi alla fine del terzo giro e a iniziare il quarto “smiling and looking good” ha scritto Dunne. Dopo 14 ore, Jasmin Paris ha portato a termine il quarto giro. È arrivata al campo base dieci minuti dopo Campbell, un altro atleta già finisher. Sono tutti pronti (si fa per dire) a partire per il quinto. La direzione dell’ultimo giro è dettata dalla decisione del primo atleta che si presenta al cancello per iniziare il quinto. Il primo è l’ucraino Verys, al suo primo tentativo, spettacolare. È stato annunciato che ha scelto il senso orario, che è a detta di molti il senso più “facile”. Il secondo deve andare quindi in senso antiorario e viceversa. Campbell era pronto a partire prima di Jasmin Paris e sarebbe dovuto andare in senso orario; in realtà si è avvicinato all’atleta inglese e le ha detto: “se sei pronta per partire, prendi tu il senso orario”. La scena, molto bella che simboleggia lo spirito cameratesco di un certo tipo di ultrarunning, è stata anche rocambolesca, perché Paris si è alzata per rispondere ma non ha fatto in tempo e ha iniziato a vomitare. Quando si è ripresa, ha ringraziato e ha preso la direzione in senso orario. Campbell ha fatto sicuramente un bel gesto ma non ha fatto altro che restituire lo stesso favore che era stato fatto a lui qualche edizione prima da un altro atleta.

L’entusiasmo era arrivato alle stelle; twitter/x era impazzito. Ogni atleta, a questo punto, è rimasto solo. Jasmin racconterà poi che si sentiva forte e sicura – e stanca. Per tenersi sveglia e avere sferzate di energia, ad ogni ruscello si immergeva per un minuto e poi riprendeva la corsa. Le pause, per scelta, erano poche. La sua paura era che succedesse a lei quello che era successo a Gary Robbins nel 2017 quando, sbagliando il percorso nella parte finale dell’ultimo giro, arrivò al cancello giallo sei secondi oltre le 60 ore quindi senza avere l’opportunità di essere decretato “finisher” (come è testimoniato nel bellissimo documentario “Where dreams go to die”). Jasmin Paris continuava a controllare l’orologio, che aveva una schermata che ne rendeva la lettura difficile se non orientato bene. Continuava a fare conti nella sua testa per capire se ce l’avrebbe fatta a finire prima delle 60 ore. Quando è arrivata alla torre di Rat’s Jaw mancavano più o meno 3h40. Lei non lo sapeva, ma l’ucraino che aveva finito per primo, aveva impiegato 4 ore per percorrere la strada da lì al cancello giallo. Lei non lo sapeva e continuava a crederci. Dice poi di avere iniziato a correre più veloce, un ritmo che a lei sembrava da “tempo run” e che probabilmente non lo era, ma questo dettaglio dimostra come lei non si sia mai arresa. Lei non lo sapeva, ma chi la seguiva sì. Gli entusiasmi si erano piano piano smorzati. Uno alla volta iniziavano ad arrivare i finisher: Ivor Verys (58:44:59) John Kelly (59:15:38), Jared Campbell (59:30:32) e Graig Hamilton (59:38:42). Già così era un’edizione da record con quattro finisher e una donna che per la prima volta aveva finito quattro giri.

Mancava poco e di Jasmin Paris neanche l’ombra. Poi il tweet di Dunne:

 

Messaggio quanto mai inatteso a quel punto e per un bel pezzo non è dato conoscere altri dettagli, almeno fino a che foto e video non hanno preso a circolare (cosa possibile solo a fine gara). Nei video si sente un ragazzino urlare “sta arrivando” e qualcuno che le avvicina per incitarla e per darle qualche dritta “spingi con le braccia”. La domanda sul volto di chi era lì si vede forte e chiara: arriverà in tempo? O c’è la maledizione di Gary Robbins (che tra l’altro è lì a fare da supporto ad un altro atleta). Lei non riusciva più a correre, quella salita finale sembrava un ostacolo troppo grande. E quando pensi di non poter più correre cosa fai? Corri più veloce. E inizia a spingere con le braccia. Mancano 2 minuti. Lei si avvicina all’arrivo, corre letteralmente a perdifiato e tocca il cancello giallo quando mancano 99” alla fine. Si ripiega prima sul cancello, poi su stessa crollando a terra. Probabilmente era l’unica a pensare che ci sarebbe riuscita.

Messaggio quanto mai inatteso a quel punto e per un bel pezzo non è dato conoscere altri dettagli, almeno fino a che foto e video non hanno preso a circolare (cosa possibile solo a fine gara). Nei video si sente un ragazzino urlare “sta arrivando” e qualcuno che le avvicina per incitarla e per darle qualche dritta “spingi con le braccia”. La domanda sul volto di chi era lì si vede forte e chiara: arriverà in tempo? O c’è la maledizione di Gary Robbins (che tra l’altro è lì a fare da supporto ad un altro atleta). Lei non riusciva più a correre, quella salita finale sembrava un ostacolo troppo grande. E quando pensi di non poter più correre cosa fai? Corri più veloce. E inizia a spingere con le braccia. Mancano 2 minuti. Lei si avvicina all’arrivo, corre letteralmente a perdifiato e tocca il cancello giallo quando mancano 99” alla fine. Si ripiega prima sul cancello, poi su stessa crollando a terra. Probabilmente era l’unica a pensare che ci sarebbe riuscita.

Dirà che lo ha fatto per se stessa, per provare a se stessa che poteva farcela. Ma in fondo, la sfida di Laz le riecheggiava nelle orecchie. In qualche modo, quelle parole l’hanno spinta a provarci dato che in tutte le interviste rilasciate dopo ha dichiarato che lo ha fatto per le donne, per tutte le ragazze che smettono di fare sport da adolescenti perché pensano di non essere abbastanza: abbastanza brave, forti, degne di far parte di quel mondo. Per aprire porte, ci deve essere qualcuno ad avere le chiavi. Paris ha confermato che le donne possiedono tutte le capacità per andare oltre quello che altri pensano possibile se si offre loro la possibilità. Anche finire la Barkley Marathons. Ora che quella porta è aperta, qualcun’altra avrà la consapevolezza di poterla attraversarla e noi saremo lì ad aggiornare l’account Twitter/X di Dunne.

Non è un’ultramaratoneta. Le sue gambe la portano al massimo a completare una maratona. Non crede di potersi spingere più in là di questa distanza eppure, o forse proprio per questo, è da sempre affascinata da chi riesce a spingersi oltre i propri limiti, fisici e mentali. E' appassionata di ultratrail americane.