di Ilaria Magistri
Sono Ilaria Magistri, ho 31 anni e vivo con il mio compagno Marco e i nostri due cani Musa e Biagio ad Arese in periferia di Milano, dove sono cresciuta.
Nella vita faccio l’osteopata e lavoro nel mio studio, aperto 9 anni fa, il che mi permette di gestire meglio il tempo tra sport, cani, vita privata, viaggi e lavoro. Crescendo sto capendo sempre più l’importanza del dare il giusto spazio alle cose per me importanti, come il trascorrere tempo nella natura, stare con i miei amatissimi cani, il mio meraviglioso compagno o fare sport.
Penso davvero che l’energia e il tempo che dedichiamo alle cose che amiamo le renda importanti.
Da quando ho memoria ho sempre fatto sport. Da adolescente ho praticato agonisticamente snowboard e sport da combattimento; poi ho provato un sacco di altre attività come l’MTB, il parkour, l’arrampicata e infine la corsa e il trail running. Outdoor è sempre stata la parole chiave.
I più bei ricordi legati allo sport hanno però un comune denominatore: la montagna. Quando avevo 10 anni i miei genitori hanno comprato casa a Courmayeur e, da quel momento, lì vive il mio cuore.
Quando ero piccola adoravo quelle salite ripide fatte di sfide con il mio papà che rallentava il suo passo da boy-scout solo per mostrarmi un insetto colorato o una pianta medicinale. Adoravo il profumo dei panini che si mischiava a quello dei pascoli quando li farcivamo tra le braccia di mia mamma, stesi al sole su un plaid colorato. Io e mia sorella Alice fiere del libretto dei rifugi che si riempiva di timbri passeggiata dopo passeggiata.
Crescendo poi ho ritrovato altro nella montagna. Verso i 20 anni ho riscoperto la bellezza dello stare sola e il grande coraggio che richiede guardarsi dentro con amore nel silenzio. Non ci sono bugie per me in montagna. Crescere, il lutto per mia mamma, lo scorrere della vita, il bisogno di trovare un ambiente allo stesso tempo di cura e di sfida: questo mi ha portato a riscoprire la montagna.
E così ho iniziato a viverla con la tenda o nel bivacchi in quota, sia in solitudine che in compagnia. Prendevo e partivo, in cerca di albe, silenzio e stambecchi. E perdendomi tra valli e vette, ho iniziato a ritrovare da donna sensazioni nuove fatte di indipendenza, di organizzazione, di avventura, di “contatto”.
Ricordo che la cosa più incredibile all’inizio è stato realizzare che tutti i percorsi fatti da piccola in giornata potevano essere uniti, percorsi in fila, in un mondo fatto di alte vie.
Viaggiare è un’altra delle mie grandi passioni (nei miei 31 anni di vita ho avuto la fortuna di visitare più di 50 stati) e iniziare a farlo spostandomi a piedi mi è sembrato cosi autentico. Così nel 2018 a 26 anni ho percorso il Tour du Mont Blanc in tenda in solitaria con la mia cagnolina Musa. Ho variato il percorso ufficiale percorrendo 210 km in 7 giorni con il mio grosso zaino e questa è stata sicuramente una delle esperienze più belle della mia vita. Al rientro ho scoperto l’esistenza del trail running. Ho scoperto l’esistenza del TOR.
Da lì mi sono chiesta perché non potessi diventare anche io una di quei matti che vedevo correre per le montagne. Non ne sapevo nulla di pratico ma ricordo che durante la prima gara, la Marathon Trail del lago di Como, ho proprio pensato “ecco il mio sport”.
Con il trail running ho trovato la mia dimensione allungando sempre più le distanze: 45, 60, 100 km e quest’anno arriverà il momento del mio TOR 330.
Ecco la mia gara nel cassetto, che poi più che una gara per me è un progetto.
L’ultra trail per me è in primis scoperta. Ogni gara è un viaggio e la affronto con il sorriso, stupendomi di ogni cosa che vedo, cerco di restare sempre positiva anche nella fatica, di sorridere. Quando corro in montagna torno bambina. Torno quella bambina che seguiva il suo papà per arrivare in vetta e che ride correndo in discesa.
Nelle ultra, nella fatica lenta e costante che richiedono, riscopro il mio corpo e la mia determinazione e resto sempre stupita da cosa un corpo allenato e una testa forte e serena possono fare. E me la godo, anche se a volte non è sempre facile (soprattuto se il tempo non è dei migliori o se fisicamente non mi sento bene per qualche ragione). Ma cerco di godermela, sorrido, mi emoziono, piango, canto persino!
Vivo il momento in cui sono al 100% e quando riesco a starci dentro, con tutta me stessa, è tutto più leggero.
È nello stupirsi per me la chiave del godersi un’ultra, perché se qualcosa ti stupisce è perché l’hai davvero “vista”, non sei altrove, sei in quell’alba, su quel sentiero, in quella notte, su quella cresta, sei nel sorriso di un volontario, nella condivisione di un momento con un altro atleta.
Mai ho praticato uno sport che sia così di contatto, allo stesso tempo introspettivo ma di condivisone.
Ecco perché amo le ultra.
E amo follemente le discese.
La discesa mi fa sentire libera.
Sono 3 anni che faccio trail e ci sono gare che porto e porterò nel cuore per sempre. Indipendentemente dal fatto che possa aver fatto podio o meno. Direi che quelle a cui tengo di più sono la GTC 100 e la DXT 75 dell’anno scorso. Ho amato immensamente i paesaggi della prima, che sono impressi da sempre nel mio cuore, e il tifo e l’organizzazione calorosi, accoglienti e stimolanti della seconda.
Penso che i momenti più belli in assoluto per me siano state le albe di entrambe le gare. Specialmente della GTC dove nel momento del sorgere del sole mi trovavo in cima al colle dell’Arp e la vista improvvisa dell’immenso Monte Bianco incendiato di rosa mi ha travolta. Sentirsi così piccola e grande allo stesso tempo davanti a una bellezza e a una maestosità tale mi ha commossa moltissimo. Ho riso forte piangendo in quell’alba. Mi sono sentita parte dell’universo. Euforica, viva, grata.
Mai corsa è stata più bella di quella in cresta verso il Colle di Youlaz fin sotto al Mont Nix e infine al Colle du Berrio Blanc ed al Mont Fortin. Ricordo ancora la mocetta che ho gustato al ristoro elitrasportato che si trovava lì. Che potenza immensa ha avuto la semplicità di quel momento e di quel sapore salato.
Il trail running è sicuramente tra le cose che mi fanno sentire grata di essere viva. Anche nelle difficoltà. Perché questo è uno sport che mette alla prova corpo e mente.
Direi che per me la cosa più complicata è stata a volte la gestione mentale della gara. L’esperienza insegna a stare a contatto con il presente anche nel momento peggiore.
Direi che questa è la cosa più difficile: stare nella fatica mentale. Più volte mi è capitato di stare male fisicamente in gara, di pancia soprattuto (non è stato facile trovare il giusto modo di alimentarsi) e ho dovuto imparare, e sto ancora lentamente imparando, a trovare il giusto equilibrio tra il rispettare la condizione fisica che si è presenta e a volerla superare.
Le ultra danno la possibilità di prendersi anche il tempo per superare un momento di malessere. Questo lo sto imparando con il tempo dato che sono così nuova in questo sport. La sfida per me è concedersi quel tempo, ascoltare il proprio corpo, lavorare sulla propria testa, contattare le giuste risorse.
Non ho obiettivi ultimi. Solo esperienze belle che voglio fare. L’anno scorso ho fatto la 100km del Sahara, che ho amato moltissimo a livello umano e che mi ha fatto venire voglia di fare altre esperienze estreme simili. Il TOR sicuramente è la mia gara del cuore da sempre.
Vorrei fare qualche gara in Nepal magari. Sono salita sul Kilimanjaro lo scorso Agosto e ho voglia di fare più esperienze in quota.
Sono una sognatrice e mi è stato insegnato che l’impossibile è solo mancanza di volontà.