Elena Salmistraro, 36 anni, di Monselice, ci racconta di come è passata dal prendere in giro la madre che si svegliava presto per andare a correre al sogno della Lavaredo Ultra Trail, passando per la Transgrancanaria.
Gli inizi
Mi chiamo Elena Salmistraro, ho 36 anni e sono nata a Monselice, un paese vicino ai colli Euganei nella provincia di Padova, ma da due anni vivo a Caserta. Sono un’ultratrailer dal 2016. Prima di allora non avevo mai praticato sport in maniera agonistica e vivevo lo sport semplicemente come un modo per restare in forma: andavo in palestra, facevo un po’ di crossfit ed esercizi in sala. A pensarci bene adesso, però, mi rendo conto che molto del mio tempo in palestra lo passavo sul tapis roulant.
Ho iniziato a correre più seriamente circa sei anni fa, partecipando alle non competitive domenicali organizzate nella mia provincia. Ho iniziato con delle amiche, eravamo un po’ stanche della troppa “movida” e per cambiare stile di vita abbiamo iniziato a correre. All’inizio devo dire che era durissimo alzarsi presto. Poi la cosa ha iniziato a piacerci, abbiamo iniziato a prenderci gusto, a conoscere nuove persone e, cosa più bella, un po’ alla volta abbiamo iniziato ad aumentare i chilometri. Da 7km siamo passate a 20km e ci sembrava di aver fatto chissà cosa.
Io poi ho continuato e ho iniziato ad avvicinarmi al trail running. Ricordo che una sera d’inverno, un amico mi ha invitata ad unirmi ad un gruppo per fare una corsetta sui Colli Euganei. Non avevo mai fatto salite, ne avevo mai corso su sterrato e dopo poco aver iniziato volevo girarmi e tornare indietro. “Ma chi me lo ha fatto fare!” ho pensato. Poi da lì, quel gruppo è diventato la mia seconda famiglia e il trail running la mia passione e mi sono resa conto che non c’era cosa più bella che correre libera in mezzo alla natura.
Ho sempre corso distanze che non andavano oltre i 25 km, fino a settembre del 2016 quando mi hanno convinta a partecipare al Strafexpedition, un trail di 50 km ad Asiago. Portare a casa quella medaglia, del tutto inaspettata, fu una soddisfazione immensa. Da lì non ho più smesso. Ho partecipato a varie gare di trail, ma nel cuore ne ho due: la Transgrancanaria (65km), fatta nel 2019, e la Lavaredo Ultra Trail che avrei dovuto fare nel 2020 ma che è stata, per forza di cose posticipata al 2021.
Le gare del cuore
La Transgrancanaria è stato un viaggio stupendo vissuto con il mio compagno, che in quella occasione ha corso la sua prima ultramaratona; per questo motivo è una gara che rimarrà per sempre nei nostri cuori. L’inizio non è stato dei migliori. Partire dall’Italia con il freddo e arrivare in un clima molto diverso, mi ha dato un po’ di problemi, considerando il fatto che non ho un buon rapporto con il caldo e faccio fatica a respirare bene quando corro. Ma sono un diesel e mi conosco, quindi sono partita piano, ho aspettato che passasse il momento difficile e poi ho iniziato a star meglio. Il mio compagno, alla sua prima esperienza ultra, ha avuto qualche difficoltà e ho voluto essere forte anche per lui. L’arrivo è stato davvero splendido e molto emozionante.
La LUT è da tempo il mio sogno nel cassetto ma per arrivare a completare quei 120km con 5.800m di dislivello ho deciso di iniziare in maniera graduale. A giugno del 2018 ho partecipato alla Cortina Trail (48km con 2.600 m+) e, esattamente l’anno dopo, mi sono messa alla prova con la Ultra Dolomites, 87km con 4.100 m+. Non è facile scrivere le emozioni che si provano durante un viaggio così.
Le dolomiti, l’aria fresca, i ruscelli d’acqua, quel cielo azzurro: era come essere all’interno di un quadro. E poi ci sei tu, a combattere con le tue forze e soprattutto con la tua mente. Perché sarà lei a portarti al traguardo. In questa gara ho alzato l’asticella, non tanto per il chilometraggio, ma per il suo dislivello. E quest’anno spero con tutto il cuore di alzarla ancora un po’ completando il percorso intero e di arrivare dopo 120km, ancora una volta al traguardo, stanca ma piena di adrenalina e con il cuore pieno di gioia.
Mi definisco senz’altro una persona caparbia e faccio un esempio su tutti. Durante la Ultra Dolomites ho avuto problemi di stomaco e arrivata ad uno dei ristori mi hanno detto “siediti, ti mettiamo la mantellina, bevi qualcosa di caldo e ti fermi qua”. Mancavano solo 12km all’arrivo e non ho avuto neanche un attimo di esitazione: volevo continuare e così ho fatto. In fondo le gambe stavano bene. Ma la cosa che stava meglio di tutti era la testa ed è quella che mi ha portato fino al traguardo; ci sono arrivata con le mie gambe e con la voglia di andarmi a prendermi quel giacchettino. Poi mi sono attaccata ad una bella flebo e piano piano mi sono ripresa.
Non c’è una distanza in particolare che preferisco. Diciamo che i 50 km sono un giusto compromesso sia per l’allenamento da affrontare sia perché arrivo a fine corsa ancora in buone forze per godermi un bel brindisi. Bisogna pur festeggiare la fatica fatta.
E pensare che anni fa la runner di casa era mia mamma e io ogni domenica mattina quando vedevo che si alzava presto per andare a correre le dicevo che era pazza. E ora eccomi qui a raccontare un po’ della mia passione.
Credo fermamente che chiunque possa modificare i propri obiettivi, anzi stravolgerli, in ogni momento.