“Nello sport il protagonista è il corpo, ossia il fondamento stesso della differenza tra i sessi; quindi è a questo livello che si svolge la battaglia. Il corpo dell’atleta… è un corpo che rompe lo stereotipo del femminile come genere debole, indifeso e bisognoso di protezione… È un corpo che si esprime liberamente, che cerca di superare i propri limiti, trasversale ai modelli tradizionali; un corpo che gradualmente con semplicità e a volte un po’ di provocatoria sfrontatezza, combatte e modifica gli stereotipi e le idee di bellezza”

Margherita Marcheselli, “Lo sport femminile”, in: Il Calendario del Popolo, N.758, 2021, p.16

Come recita il Manifesto ‘Women Runners: not willing to pay the price’ scritto da Selma James nel 1972, “(noi donne) non possiamo separare correre dal resto della nostra vita”. James con queste parole, sottolinea la stretta connessione tra la pratica del correre e l’esperienza complessiva della vita delle donne, evidenziando come il tempo e lo spazio per correre rappresentino non solo un’attività fisica, ma anche una forma di emancipazione. Nella società patriarcale dell’epoca, lo sport – e in particolare la corsa – era considerato uno spazio prevalentemente maschile, e le donne si trovavano spesso a dover giustificare la propria partecipazione. Rivendicare il diritto di correre significava, dunque, rivendicare il diritto di avere tempo e spazio per sé, al di là degli obblighi familiari e domestici che tradizionalmente gravavano sulle donne. La corsa diventa così simbolo di libertà personale, una pratica che non può essere isolata dal contesto più ampio di lotta per l’uguaglianza e l’autonomia femminile.

La mancanza di memoria storica nello sport femminile, in particolare nell’ambito delle ultramaratone, rappresenta una grave lacuna che richiede attenzione. Le incredibili imprese di atlete contemporanee come Courtney Dauwalter e Jasmin Paris non sono eventi isolati né frutto di pura casualità; esse si inseriscono in un contesto storico che vede numerose donne, nel passato, lottare contro discriminazioni ed esclusioni per affermare il proprio diritto a partecipare allo sport. È grazie a queste pioniere, che hanno creduto fermamente nel potere liberatorio dello sport, che oggi possiamo godere di una maggiore inclusività. La loro lotta non solo ha aperto le porte a nuove generazioni di atlete, ma ha anche stabilito un precedente culturale e sociale su cui si fondano i successi odierni. Creare un progetto di memoria storica sulle donne e la corsa diventa, dunque, un atto di riconoscimento fondamentale: ci permette di ricordare e onorare coloro che, con coraggio e determinazione, ci hanno spianato la strada, offrendo alle atlete di oggi le basi su cui costruire le loro vittorie. È essenziale parlare di chi ci sostiene sulle spalle della storia per comprendere appieno le radici delle conquiste odierne e continuare a promuovere l’evoluzione dello sport femminile.

Nel 2020 in piena pandemia, nasce questo sito, un archivio di interviste, un podcast, una raccolta di profili di atlete principalmente italiane che si dedicano all’ultramaratona. La nascita del progetto scaturisce dal desiderio di creare una comunità di donne che possano conoscersi e ri-conoscersi in un contesto ancora concentrato troppo spesso solo sulla prestazione maschile e sulla narrazione quasi eroica dell’impresa. Attraverso interviste ad atlete élite e atlete amatoriali, Donn&Ultra vuole cambiare anche la narrazione dello sport come qualcosa da pazzi esaltati e soprattutto uomini. 

La cronologia del movimento riportata di seguito, documenta come le donne abbiano corso lunghe distanze sin dal 1877 (Mary Marshall detta Lady Pedestrienne corse 50 miglia in 12 ore) e di come la consapevolezza di poterlo fare, trasformando anche il rapporto con il corpo e lo slancio emancipatorio della corsa e dello sport in generale sul corpo delle donne, sia stato poi scoraggiato per il suo impeto quasi rivoluzionario. Nel corso del XX secolo infatti, un diffuso preconcetto medico sosteneva che le donne non fossero fisiologicamente adatte a correre distanze superiori agli 800 metri, per il timore che lo sforzo prolungato causasse il prolasso dell’utero o altri danni fisici irreparabili. Questa convinzione, priva di fondamenti scientifici, ha alimentato un forte ostracismo verso la partecipazione femminile alle corse di lunga distanza, contribuendo all’esclusione delle donne da eventi come i 1500 metri e la maratona. Solo nel 1960 si iniziarono a mettere in discussione tali falsità, e fu con la maratona olimpica femminile del 1984 che vennero finalmente superate le barriere istituzionali e culturali che avevano limitato per decenni la piena partecipazione delle donne allo sport agonistico. La donna che corre diventa più consapevole del proprio corpo, dei suoi bisogni e delle sue potenzialità e i rapporti di potere con gli uomini si trasformano dato che nell’ultramaratona è più facile vedere le donne nella parte alta della classifica e ci sono studi che ne spiegano il motivo.

Partendo da alcune competizioni chiave su breve distanza (fino al 1972 infatti le gare di media e lunga distanza erano riservate agli uomini) che hanno fatto sì che le donne potessero pensarsi sul campo di gara, la cronologia è una prima ricognizione dell’emancipazione femminile nello sport in Italia, attraverso la corsa, dagli 800m alla maratona – e in tempi recenti ultramaratona – fino ai giorni nostri. Nella cronologia sono compresi anche eventi chiave sia storici sia di costume, che hanno facilitato l’emergere della categoria femminile nelle competizioni ufficiali nazionali e internazionali. La cronologia infine, mostra anche come le donne abbiano ottenuto risultati impensabili, anche rispetto a quelli di atleti uomini, nel corso degli ultimi anni e come il migioramento delle loro performance abbia subito un’accelerazione notevole.

La cronologia

Alessandra Saviotti è una ricercatrice e attivista culturale con un dottorato conseguito alla Liverpool John Moores University (UK). Ex-ginnasta, ora corre principalmente le lunghe distanze su strada e su trail. È co-fondatrice della piattaforma HRV4Training e scrive principalmente di pratiche artistiche socialmente impegnate, attivismo e dell'effetto emancipatorio dell'arte e dello sport.