Ci sono alcuni podcast che meritano la nostra attenzione e Trail Society è sicuramente uno di questi. Ideato e condotto da tre ultramaratonete (di quelle super toste), parla di donne nell’ultramaratona affrontando in una sorta di tavola rotonda una serie di argomenti interessanti e spinosi. Nei vari episodi fin qui hanno parlato, per esempio, delle lotterie di ingresso alle ultra americane e della loro scarsa inclusività, così come della decisione del marchio UTMB di mettere al bando gli antidolorifici in quanto doping, colpendo in un certo senso le donne che spesso ne fanno uso in gare durante il periodo mestruale.
Nell’episodio n.7 del 2.11.21, Corinne Malcom, Keeley Henninger e Hillary Allen hanno discusso di disturbi alimentari e della sindrome RED-S che ha costretto alcuni nomi noti come Mimmi Kotka, Amelia Boone e Anna Frost a fermarsi per un periodo molto lungo con lo scopo di reimparare a gestire il proprio “corpo” e costruire un rapporto più sano con il loro sport. Anche le tre conduttrici hanno vissuto in prima persona questa condizione e ne parlano a viso aperto, senza nascondersi, con il solo scopo di far scattare un campanello d’allarme a chi ascolta.
Lo spunto per la conversazione nasce da un episodio specifico, l’ennesimo negli states. Alcuni allenatori di atletica dell’università dell’Oregon, una delle più prestigiose in America con forti legami con la Nike, sono stati accusati da sei ex atlete di costringere i componenti della loro squadra a mantenere una percentuale di grasso corporeo inferiore al 13%. Nessuno di loro si preoccupava di fare i giusti distinguo tra le atlete/i dato che in fondo per loro l’atletica è un sport semplicemente basato sui numeri: “un buon matematico potrebbe essere anche un buon allenatore” ha dichiarato Robert Johnson, uno degli allenatori. I controlli periodici scatenavano grande ansia e molte, pur di evitare rimproveri, ricorrevano al digiuno nei giorni immediatamente precedenti. Le sei ex atlete hanno attribuito a questa pratica i propri disordini alimentari.
L’università dell’Oregon non è stata (e probabilmente non sarà) l’unica ad essere al centro di accuse di “body shaming”. Ricordiamo cosa è successo nel 2019 all’allenatore Salazar, a capo del Nike Oregon Project, che venne accusato dall’atleta Mary Cain di averla costretta a mantenere un peso eccessivamente basso per lei e di averla spinta verso la sindrome RED-S, accusa che è stata seguita da quella di altre otto atlete.
Ma cos’è esattamente il RED-S?
E’ l’acronimo di Relative Energy Deficiency in Sport, cioè carenza di energia relativa nello sport, e si presenta quando l’atleta non si alimenta in maniera sufficiente ai propri fabbisogni. I sintomi principali sono tre: amenorrea, basso livello energetico, e fratture da stress e di conseguenza veniva inizialmente indicata come “triade dell’atleta donna”. Poi nel 2014 il comitato olimpico internazionale decise di cambiare nome perché, di fatto, è una sindrome che può colpire, e di fatto colpisce, anche gli uomini, pur se con alcune differenze.
Il deficit calorico provoca stanchezza, disturbi del sonno, perdita del ciclo, mancanza di desiderio di correre, difficoltà a recuperare tra un allenamento e l’altro, cattivo funzionamento della tiroide. Rimanere in deficit energetico per molto tempo porta alla diminuzione della densità ossea e, come conseguenza, arrivano le classiche fratture da stress. Inoltre, nel lungo termine, porta a problemi cardiovascolari, disturbi gastrointestinali e un indebolimento del sistema immunitario. La storia di Amelia Boone è davvero un esempio da manuale.
E’ una vera e propria “trappola energetica” nella quale è facile cadere, specie per chi fa sport di endurance e quindi anche per chi corre ultramaratone. Nei periodi di grande carico il dispendio calorico, si sa, è notevole e diventa davvero complicato riuscire a reintegrare in maniera adeguata.
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Si tratta, quindi, di una patologia subdola perché spesso i sintomi non sono distinguibili dalle “naturali” conseguenze di un periodo di allenamento intenso per una gara di 50/100+km. Inoltre, spesso la mancanza di ciclo viene visto come un sollievo da parte delle atlete (e dei loro allenatori) perché consente di potersi allenare sempre, senza quelle pause fisiologiche dovute a dolori o malesseri ad esso collegati. Anzi, a volte viene vissuto addirittura come un segno “d’onore”, perché è un’indicazione che ci si sta allenando duramente. RED-S si presenta quindi con una serie di piccole spie che però facciamo fatica a riconoscere e di cui difficilmente ci preoccupiamo, fino a che non arrivano gli infortuni. Inoltre molti dottori non conoscono la patologia e ciò ritarda la diagnosi. Per molte atlete, incluse le conduttrici del podcast, ci sono voluti anni prima di dare un nome ai propri sintomi.
Una cosa che le conduttrici del podcast tengono a sottolineare è proprio il fatto che l’aspetto culturale non deve essere sottovalutato:
Per facilitare il riconoscimento di questa patologia bisogna parlarne apertamente, informarsi, chiedere l’aiuto esterno di un coach e nutrizionista, per esempio.
Ma soprattutto bisogna fare prevenzione e sono molte le cose che possiamo fare:
E’ molto importante che ne se ne parli e bisogna sicuramente ringraziare quelle atlete che affrontano l’argomento così apertamente. E in Italia?
In Italia se ne parla poco e niente. C’è da chiedersi quale sia il motivo. Una diversa cultura sportiva? Una minore propensione alla competitività, anche estetica? E’ un argomento di cui è meglio non parlare? Forse il silenzio è dovuto ad un insieme di queste cose; oppure, semplicemente manca la consapevolezza e la conoscenza di questa sindrome, anche da parte di chi dovrebbe guidare le atlete in modo corretto e sicuro. La speranza è che si possa aprire un dialogo anche da noi su una questione così delicata eppure così importante.
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